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22 Marzo 2024
ll dibattito sull’art. 63, comma 10 del nuovo Codice degli Appalti sulla formazione alle Stazioni Appaltanti qualificate: una presunta violazione del Diritto dell’Unione Europea?
Il rapporto tra il diritto comunitario ed il diritto interno, ed in particolare le modalità di recepimento di quest’ultimo delle indicazioni e delle Direttive europee, è da sempre fonte di numerose domande e conseguenti dibattiti, in particolare riguardo la ricerca di un giusto equilibrio tra le esigenze generali dell’Unione e quelle del singolo Stato.
Uno degli ultimi capitoli di questa lunga vicenda, ha ad oggetto l’art. 63, comma 10 del D.lgs. 36/2023.
In generale, l’art. 63 disciplina la modalità ed i requisiti per la qualificazione come Stazioni Appaltanti. In particolare, proprio al comma 7, lett. b), viene definita come requisito al fine di questa qualificazione anche una ”adeguata formazione del personale”. Il contestato comma 10 del suddetto articolo indica le tipologie di soggetti che possono effettivamente svolgere tale formazione.
Secondo la disposizione normativa, solo i soggetti accreditati possono svolgere attività formativa utile ai fini della qualificazione, e tale accreditamento è riservato esclusivamente a istituzioni pubbliche o private senza fini di lucro. La definizione dei requisiti per l’accreditamento è, infine, demandata alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA), istituzione incaricata anche di svolgere attività formativa nel medesimo settore.
La cornice qualitativa degli attori che possono ottenere l’accreditamento prevista dal comma 10 ha generato diversi dubbi circa la propria coerenza con i principi fondamentali dell’Unione. La disposizione pare infatti essere contraria non solo al principio di uguaglianza e di non discriminazione, ma parrebbe contrapporsi anche all’articolo 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) sul diritto di stabilimento e l’articolo 56 del TFUE sulla libera prestazione dei servizi.
Secondo diffusa giurisprudenza, i limiti all’accesso o all’esercizio di un’attività devono essere non discriminatori e giustificati da motivi imperativi di interesse generale, cosi come sancito dalla Direttiva n. 2006/123/CE.
Uno degli elementi più dubbiosi di tale disposizione è quella relativa al requisito dell’assenza della finalità di lucro per gli enti di formazione di natura privatistica.
Tale disposto sembra infatti palesemente contrario al principio di non discriminazione, sancendo inoltre di fatto l’avvio ad un monopolio o comunque ad una posizione dominante di tali soggetti nel mercato della formazione.
Altro elemento di dubbia coerenza è quello relativo alla posizione della Scuola Nazionale dell’Amministrazione.
Tale entità ha infatti il monopolio di fissare i requisiti per l’accreditamento ed, al tempo stesso, è attiva nel settore della formazione.
Questa doppia anima, regolatore ed attore, ha sollevato dubbi circa l’imparzialità della Scuola e circa la sua indipendenza nella definizione dei requisiti.
L’iniziativa dello Studio Albonet di presentare una denuncia alla Commissione Europea in merito all’articolo 63 Comma 10 del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici Italiano evidenzia la gravità delle preoccupazioni del mercato di riferimento, che rischia di rimanere escluso dall’attività formativa. Ci si auspica che il Governo italiano affronti queste criticità e adotti le misure necessarie per garantire che il codice sia pienamente conforme alle leggi europee, al fine di evitare controversie legali e assicurare la legalità e la trasparenza nel settore degli appalti pubblici.
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