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18 Marzo 2022
Dalla sostenibilità ambientale alla sostenibilità sociale
Le istituzioni pubbliche, da quelle internazionali agli enti locali, stanno indirettamente o direttamente sottolineando negli ultimi anni il ruolo delle politiche degli appalti pubblici nel raggiungimento di risultati tangibili di sostenibilità contro i cambiamenti climatici.
Di fatto, il significato di sostenibilità negli appalti pubblici ha subito una lenta trasformazione negli anni: se in passato le stazioni appaltanti indirizzavano la sostenibilità solo agli aspetti ambientali e alle regole per affrontare la corruzione, oggi gli appalti pubblici sembrano essere riconosciuti come un elemento chiave per l’attuazione delle politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, in una più ampia definizione di sostenibilità “sociale”, ovvero rivolta a non arrecare danno non solo all’ambiente ma anche alle persone e alle comunità che l’acquisto o la produzione di un determinato lavoro/bene o servizio può generare.
Quindi, oltre alla riconosciuta importanza degli appalti pubblici a livello economico, negli ultimi due decenni anche gli appalti pubblici hanno iniziato a essere considerati a livello mondiale come un fattore chiave per la promozione della sostenibilità, parallelamente al nuovo cambiamento di prospettiva di sostenibilità che si è mosso già da tempo nel settore privato.
Se in passato la sostenibilità era considerata semplicemente come un insieme di attività filantropiche, oggi entra nelle strategie di business, con possibili conseguenze negative, di immagine e di fatturato, nel caso in cui questa sia trascurata.
In effetti, gli appalti pubblici svolgono un ruolo cruciale nel contribuire al PIL internazionale: l’OCSE stima infatti che nei paesi dell’OCSE gli appalti pubblici abbiano contribuito al 12% del PIL. Guardando invece ai confini europei, il valore stimato delle gare d’appalto pubblicate sul TED, nel 2017, ammonta a 545,4 miliardi di euro. Non è quindi certo una coincidenza se la Banca Mondiale abbia lanciato il suo “Programma di adattamento al cambiamento climatico”.
Sempre secondo la Banca mondiale, gli appalti pubblici sono uno strumento strategico necessario di sviluppo per promuovere il buon governo e per impiantare un uso efficace ed efficiente delle risorse pubbliche. Pertanto, gli appalti pubblici sono una componente cruciale della governance democratica, della riduzione della povertà e dello sviluppo sostenibile.
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Gli appalti pubblici possono quindi migliorare efficacemente l’acquisizione di prodotti, servizi e infrastrutture con un minore impatto ambientale (sostenendo quindi strategie di mitigazione e adattamento) e, allo stesso tempo, internalizzare le distorsioni sociali connesse alla catena di approvvigionamento.
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Se consideriamo che la schiavitù moderna colpisce oltre 45,8 milioni di persone in 167 paesi, gli appalti pubblici potrebbero quindi contribuire alla sostenibilità chiedendo ai fornitori, e verificando, di preservare i diritti umani sul lavoro, ad esempio il lavoro minorile, la salute e la sicurezza, l’orario di lavoro, la retribuzione ecc.
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Le Nazioni Unite forniscono la seguente definizione di approvvigionamento sostenibile: “L’approvvigionamento è chiamato sostenibile quando integra requisiti, specifiche e criteri che sono e a favore della protezione dell’ambiente, del progresso sociale e a sostegno dello sviluppo economico, in particolare ricercando l’efficienza delle risorse, migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi e, in ultima analisi, ottimizzare i costi“.
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Per questo motivo, le strategie di gara incentrate su criteri qualitativi basati sulla riduzione degli impatti ambientali e sulla promozione sociale può efficacemente migliorare la sostenibilità. Un classico esempio di punti tecnici basati sulla sostenibilità ambientale sono gli standard ed i certificati gestiti dal settore privato (ad esempio, ISO 14001) o promossi dalle autorità pubbliche (ad esempio, l’ecolabel), i quali, associati a un sistema di monitoraggio di terza parte, possono contribuire efficacemente a migliorare la sostenibilità ambientale degli appalti pubblici. Tuttavia, mentre gli appalti “verdi” sono in una fase avanzata, poiché le amministrazioni aggiudicatrici dispongono di diversi strumenti standardizzati per valutare e monitorare la qualità verde e l’impatto ambientale dei propri acquisti, gli appalti “sociali” sono ancora in fase embrionale. Infatti, esaminando le buone pratiche nel favorire le categorie svantaggiate attraverso gli appalti pubblici, oltre alla certificazione internazionale SA8000 e la ISO 45001, non vi sono, ad oggi, molti altri strumenti a disposizione della pubblica amministrazione. Il PNRR sta ponendo l’accento, su richiesta della Commissione su categorie considerate svantaggiate, quali donne, giovani, fragili.
La sfida da affrontare, aldilà dei CAM e dei vincoli PNRR, sarà quella di imporre nuove regole normative per integrare la sostenibilità, attraverso una corretta analisi del life cycle costing – LCC – caratterizzata tra l’altro da: fattori inquinanti, concorrenza sleale dovuta alla schiavitù e al lavoro in nero, condizioni di lavoro dignitose, protezione e salvaguardia delle minoranze, PMI, start-up, donne, giovani professionisti.
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Auspichiamo quindi che i “policy makers” istituiscano un quadro giuridico più rigoroso in grado di fissare nuovi vincoli e barriere all’ingresso in grado di rendere socialmente sostenibili gli acquisti, tramite l’internalizzazione di costi esterni.
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In effetti, l’esperienza insegna che il mercato da solo non è in grado di abbattere le barriere e un quadro giuridico più ambizioso potrebbe certo raggiungere azioni più rapide e concrete per colmare il divario degli acquisti pubblici maggiormente “sostenibili”, non solo in termini ambientali ma anche e soprattutto “sociali”.
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