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10 Febbraio 2023
Riflessioni sull’applicazione e sulla obbligatorietà della clausola sociale
presente e futuro codice
La Legge Delega n. 78/22, di riforma della materia dei Contratti Pubblici, pone al centro della futura disciplina la tutela e la promozione del lavoro e dei lavoratori, in particolare nel caso di cambio di impresa appaltatrice, prevedendo “l’obbligo per le stazioni appaltanti di inserire, nei bandi di gara, avvisi e inviti, specifiche clausole sociali”.
Segnatamente, la previsione di tali “specifiche clausole sociali” mira a introdurre criteri volti a tutelare i seguenti aspetti:
- la stabilità occupazionale del personale impiegato nell’esecuzione dell’appalto;
- l’applicazione dei contratti collettivi nazionale e territoriali di settore;
- la parità di trattamento economico e normativo per i lavoratori in subappalto contro il lavoro irregolare;
- la promozione delle pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate.
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Entrambe le discipline, la passata/presente e la futura, affermano l’esigenza di garantire e tutelare i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, in modo particolare nelle ipotesi di cambio di appalto.
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E ciò, talvolta, anche per espressa natura della tipologia di appalto e/o di prestazione erogata da parte dei lavoratori, per cui la garanzia di sopravvivenza del rapporto di lavoro risulta ancorata a previsioni contrattuali.
A tal proposito, infatti, basta indicare le gare relative ai servizi di call center o di pulizia e di multiservizi, ove la clausola sociale viene già disciplinata con applicazione obbligatoria nel CCNL di riferimento (cfr art. 4 Multiservizi e/o Telecomunicazioni) nonché con supremazia rispetto al codice appalti.
Peraltro, il legislatore mostra una particolare attenzione alla promozione della stabilità occupazionale dei lavoratori occupati nel comparto dei servizi, dedicandovi un’apposita previsione in materia di clausole sociali.
La Legge Delega, infatti, all’art. 1, comma 2, lett. v), prevede l’obbligo di inserire specifiche clausole sociali nei bandi relativi all’affidamento dei servizi sociali e della ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché – in generale – di tutti i servizi ad alta intensità di manodopera (vale a dire quelli in cui il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto).
Tutto ciò confermando – come già in effetti previsto dal vigente art. 95 del D.Lgs. n. 50/2016 – che tali affidamenti potranno intervenire solamente utilizzando il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
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È quindi chiara la ratio che emerge dalle disposizioni in esame, volta a garantire, sotto diversi aspetti, la stabilità occupazionale e contrastare le dinamiche concorrenziali suscettibili di andare a detrimento dei livelli salariali.
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La Legge Delega, rispetto all’attuale D.Lgs. n. 50/2016, sembra quindi non solo confermare, ma senz’altro enfatizzare tali obiettivi di protezione sociale e di tutela dei lavoratori.
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Ma è davvero così? Il governo e soprattutto i sindacati credono davvero che con questa clausola si salvaguardino contemporaneamente più tutele, come quella dei lavoratori e/o dell’imprenditore?
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Difatti, è opportuno domandarsi se la futura disciplina consentirà di confermare l’orientamento della giurisprudenza amministrativa formatosi in materia, secondo il quale il regime della clausola sociale richiede un bilanciamento fra i valori costituzionali di libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) da un lato, e di diritto al lavoro (art. 35 Cost.) dall’altro.
Nel corso dell’applicazione della clausola sociale da parte delle Amministrazioni, la prassi, il legislatore e la giurisprudenza hanno precisato e perfezionato la clausola medesima prevedendo come ciascuna amministrazione:
- non possa prevedere, a pena di esclusione, la riassunzione della totalità dei lavoratori precedenti (v. Cons. Stato, sez. VI, 24/07/2019, n.5243; Cons. Stato, sez. V, 04/05/2020, n.2796). Il bando che a pena di esclusione, preveda la clausola di riassunzione del 50% (e dunque non la totalità) dei lavoratori precedentemente impiegati, ma che al contempo preveda l’assegnazione di un punteggio pari alla metà di quello attribuibile, al concorrente che si impegni a riassorbire il restante 50%, è da ritenersi ugualmente illegittimo;
- non possa essere imposta alle imprese l’applicazione di un determinato CCNL quale requisito di partecipazione alla gara, con la conseguenza che l’applicazione di un contratto collettivo, in luogo di un altro, non determina di per sé l’inammissibilità dell’offerta formulata dell’operatore economico. (Cons. Stato, Sent. 12 settembre 2019, n. 6148);
- possa utilizzare il criterio della territorialità soltanto come requisito di aggiudicazione, e non di partecipazione, impattando una eventuale previsione di tal tipo con i principi del favor partecipationis e della par condicio tra i concorrenti, in ogni possibile loro declinazione.
In altre parole, la previsione delle clausole sociali si inserisce, oggi, in un delicato bilanciamento tra la tutela dell’iniziativa economica e quindi di una effettiva concorrenza tra gli operatori economici, da un lato, e la garanzia e promozione di finalità sociali, dall’altro lato.
La clausola sociale non può comprimere l’autonomia imprenditoriale (cfr. Cons. St., Sez. III, n. 142/2019) e non può in ogni caso essere esercitata fino al punto di vanificare le sottostanti esigenze di tutela di tutti i lavoratori (non solo quelli uscenti).
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L’elasticità di applicazione della clausola non può quindi spingersi fino al punto da legittimare politiche aziendali in grado di vanificare gli obiettivi di tutela del lavoro (cfr. Cons. St., Sez. V, n 3885/2019).
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Il Consiglio di Stato sez. V con sentenza 03/06/2022, n. 4539, ha precisato che: “nella lex specialis la clausola cd. sociale va formulata e intesa in maniera elastica e non rigida, rimettendo all’operatore economico concorrente finanche la valutazione in merito all’assorbimento dei lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario, anche perché solo in questi termini essa è conforme alle indicazioni della giurisprudenza amministrativa, secondo la quale l’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà d’impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto (cfr. Cons. Stato, VI, 24 luglio 2019, n. 5243; 21 luglio 2020, n. 4665; V, 12 febbraio 2020, n. 1066; Cons. Stato, V, 12 settembre 2019, n. 6148; anche Cons. Stato, sez. V, 10 giugno 2019, n. 3885); alla luce di tali principi va anche escluso che la clausola sociale possa implicare la necessaria conservazione dell’inquadramento e dell’anzianità del lavoratore assorbito dall’impresa aggiudicataria”.
Ed infatti, la clausola non comporta “alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato e in forma automatica e generalizzata, nonché alle medesime condizioni, il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria, ma solo che l’imprenditore subentrante salvaguardi i livelli retributivi dei lavoratori riassorbiti in modo adeguato e congruo”; di guisa che “l’obbligo di garantire ai lavoratori già impiegati le medesime condizioni contrattuali ed economiche non è assoluto né automatico” (Cons. Stato, n. 6148 del 2019, cit.; 16 gennaio 2020, n. 389, in cui si precisa, sotto altro concorrente profilo, che sull’aggiudicatario non grava “l’obbligo di applicare ai lavoratori esattamente le stesse mansioni e qualifiche che avevano alle dipendenze del precedente datore di lavoro”; si veda anche 13 luglio 2020, n. 4515, in ordine al CCNL prescelto). Non sussiste quindi “l’obbligo di garantire ai lavoratori già impiegati le medesime condizioni contrattuali ed economiche”.
La Corte Costituzionale al riguardo ha dichiarato, ad esempio, l’illegittimità costituzionale di disposizioni di leggi regionali che non si limitavano a prevedere il mantenimento in servizio di personale già assunto, nel caso di discontinuità dell’affidatario, ma stabilivano in modo automatico generalizzato “l’assunzione a tempo indeterminato” del personale già “utilizzato”.
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La clausola sociale deve essere sempre proporzionata all’oggetto dell’appalto e ai requisiti richiesti.
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Per tale ragione è stata posta in risalto l’opportunità di prevedere un “vero e proprio ‘piano di compatibilità’ o ‘progetto di assorbimento’, nel senso che l’offerta debba illustrare in qual modo concretamente l’offerente, ove aggiudicatario, intenda rispettare la clausola sociale” e con quali modalità (Consiglio di Stato, sez. V, 03.06.2022 n. 4539).
A tal proposito, l’operatore economico – a seguito di attenta analisi nel merito della concreta possibilità di offrire tutela ai lavoratori assunti dal precedente appaltatore – dichiara nel proprio ‘piano di compatibilità’ o ‘progetto di assorbimento’ il numero di lavoratori che eventualmente intenderà assumere alle proprie dipendenze. E ciò, con relativa proposta contrattuale, di remunerazione ed eventuale CCNL. L’operatore economico è, quindi, anche libero – così come, seppur indirettamente, previsto nelle Linee Guida Anac n. 13 recanti “La disciplina delle clausole sociali” – di evidenziare l’impossibilità di procedere ad assorbimento.
Pertanto, l’operatore deve e dovrà in sede di gara sempre accettare la clausola sociale, a pena di esclusione. Si precisa che con il termine accettazione si intende l’obbligo di tenere in considerazione e di valutare con diligenza ed attenzione tutti i profili inerenti il potenziale assorbimento dei lavoratori uscenti. L’accettazione non implica, quindi, un automatico obbligo di assorbimento.
Difatti, secondo le Linee Guida Anac n. 13, comunque non vincolanti: “La mancata accettazione della clausola sociale costituisce manifestazione della volontà di proporre un’offerta condizionata, come tale inammissibile nelle gare pubbliche, per la quale si impone l’esclusione dalla gara” . La mancata accettazione è comunque sanabile con soccorso istruttorio; in caso di mancata accettazione reiterata, si viene esclusi.
Al contrario, l’esclusione “non è fondata nell’ipotesi in cui l’operatore economico manifesti il proposito di applicarla nei limiti di compatibilità con la propria organizzazione d’impresa, ovvero non come un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento del personale utilizzato dall’impresa uscente, ma armonizzato con l’organizzazione aziendale prescelta dal nuovo affidatario.
Sempre ANAC, con DELIBERA N. 393 del 19 maggio 2021, a seguito di istanza di parere ex articolo 211, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 ha ritenuto – sotto altro punto di vista – come la clausola di un disciplinare di gara, che imponeva la titolarità di un organico a tempo pieno e indeterminato in numero pari a 100 dipendenti, non fosse conforme ai principi di proporzionalità e di tutela della concorrenza, compromettendo la partecipazione delle piccole e medie imprese.
Così, ribadendo la necessità di contemperare la tutela posta a favore dei lavoratori precedentemente assunti con principi differenti ed equivalenti ai primi.
L’operatore economico potrà, eventualmente, aggiungere nel proprio piano di assorbimento “riserve” da evidenziare – sulla base di ragioni oggettive e comprovabili e/o incompatibili con la propria organizzazione d’impresa – circa l’eventuale numero di dipendenti (anche inizialmente zero) da poter assumere o riserva di assunzione dei medesimi lavoratori uscenti in caso di necessità e con priorità.
E ciò, asserendo ad esempio, che si darà attuazione alla clausola sociale, coinvolgendo prioritariamente le unità lavorative già dipendenti dai precedenti gestori purché il loro numero e la loro qualifica siano armonizzabili con l’organizzazione d’impresa e con le specifiche esigenze tecnico-organizzative e di manodopera, anche curando la loro formazione ed integrazione nei nuovi processi lavorativi.
Alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene che lo sforzo compiuto dal legislatore non sia efficace e tantomeno concreto, ma solo meccanismo di salvaguardia a fronte dei comunitari impegni assunti dallo stato italiano, anche in ottica di riforme del PNRR.
Si dovrebbero formulare altre vie, altri tipi di supporto, in grado di garantire sia la continuità lavorativa che la libertà d’impresa, così da non generare costantemente oscillazioni di povertà per i lavoratori impiegati in appalti “precari” o di perdita a danno degli imprenditori.
Ad esempio, si potrebbero prevedere delle forme di incentivo economico o un importo stimato a base di gara, tali da favorire non solo il reinserimento del lavoratore uscente – e questo a condizioni eque e durature e non precarie e minime – ma anche il beneficio economico e sociale dell’imprenditore entrante.
Ad oggi assistiamo a meccanismi di tutela ben motivati ma poco efficaci e gli aspetti critici sono da rinvenire proprio nelle regole di gara poste dalla stazione appaltante in base al codice appalti, presente o nuovo che sia.
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