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28 Febbraio 2025
Progressioni verticali: criteri di valutazione dell’esperienza e il contrasto tra T.A.R. Campania e T.A.R. Lazio
Le recenti pronunce del T.A.R. Campania e del T.A.R. Lazio hanno posto l’attenzione su un tema particolarmente rilevante per le progressioni verticali all’interno della Pubblica Amministrazione: la valutazione dell’esperienza lavorativa maturata presso enti diversi. Le due sentenze, pur affrontando la medesima questione, hanno adottato orientamenti differenti, generando un dibattito giuridico sulla legittimità della scelta di valorizzare prioritariamente l’esperienza maturata all’interno dell’ente di appartenenza rispetto a quella acquisita in altre amministrazioni.
Il T.A.R. per la Campania, Sezione IV, con la sentenza n. 1247 del 17 febbraio 2025, ha ritenuto legittima la preferenza accordata al servizio prestato all’interno dell’ente che indice la selezione per la progressione verticale. Secondo questa pronuncia, tale criterio risponde all’interesse organizzativo della Pubblica Amministrazione di valorizzare le professionalità già presenti nell’organico e di garantire una maggiore continuità nell’azione amministrativa.
Il tribunale ha evidenziato come questa scelta non sia discriminatoria, in quanto basata su un’esigenza funzionale dell’ente piuttosto che su un criterio arbitrario. In tal senso, la sentenza sottolinea che la progressione verticale rappresenta uno strumento di crescita professionale interna, finalizzato a premiare l’esperienza maturata in uno specifico contesto lavorativo. L’ente pubblico, quindi, sarebbe legittimato a stabilire criteri che privilegiano chi ha già prestato servizio al suo interno, senza che ciò comporti una violazione dei principi di parità di trattamento o di accesso al pubblico impiego.
Diversamente, il T.A.R. per il Lazio, Sezione II, con la sentenza n. 4036 del 24 febbraio 2025, ha adottato un approccio opposto, ritenendo illegittimo il criterio che attribuisce maggiore peso all’esperienza maturata presso l’ente rispetto a quella acquisita in altre amministrazioni. Il tribunale ha evidenziato come tale impostazione possa dar luogo a una disparità di trattamento tra candidati con pari esperienza e competenze, penalizzando coloro che hanno prestato servizio presso altri enti pubblici.
La decisione del T.A.R. Lazio si basa su un’interpretazione più rigorosa dei principi di trasparenza e imparzialità, ritenendo che il servizio prestato in qualsiasi amministrazione pubblica debba essere valutato allo stesso modo, senza favorire il personale interno.
Il contrasto tra le due pronunce riflette due concezioni differenti delle progressioni verticali. Da un lato, il T.A.R. Campania ha adottato una prospettiva che enfatizza la continuità organizzativa e la fidelizzazione del personale già inserito all’interno dell’ente. Questa impostazione si basa sulla considerazione che chi ha già lavorato per l’amministrazione di riferimento possiede una conoscenza più approfondita delle sue dinamiche interne, riducendo i tempi di adattamento e migliorando l’efficienza complessiva dell’ente.
Dall’altro lato, il T.A.R. Lazio ha adottato un’interpretazione che punta a garantire una maggiore equità nelle selezioni pubbliche, evitando che il criterio dell’esperienza interna diventi un meccanismo di chiusura che ostacola la mobilità tra le amministrazioni e limita le opportunità per i candidati esterni.
Le conseguenze pratiche delle due sentenze sono significative.
Se dovesse prevalere l’orientamento del T.A.R. Campania, gli enti pubblici avrebbero maggiore discrezionalità nella definizione dei criteri di selezione, potendo premiare i propri dipendenti senza il rischio di annullamento delle procedure.
Al contrario, se l’orientamento del T.A.R. Lazio fosse confermato da ulteriori decisioni, si rafforzerebbe il principio di neutralità nella valutazione dell’esperienza lavorativa, imponendo agli enti di considerare allo stesso modo i periodi di servizio prestati presso qualsiasi amministrazione pubblica.
La questione solleva interrogativi anche sul piano normativo. La normativa sulle progressioni verticali prevede che i criteri di selezione debbano rispettare i principi di meritocrazia e trasparenza, senza introdurre discriminazioni tra i candidati.
Tuttavia, la mancanza di un indirizzo univoco sulla valutazione dell’esperienza lavorativa lascia spazio a interpretazioni divergenti, come dimostrano le due sentenze. In assenza di un intervento chiarificatore del legislatore o di una pronuncia definitiva da parte del Consiglio di Stato, il rischio è che ogni amministrazione possa adottare soluzioni diverse, generando incertezza tra i candidati e possibili contenziosi.
Un ulteriore elemento di riflessione riguarda l’impatto di queste decisioni sulla mobilità lavorativa all’interno della Pubblica Amministrazione. Se il criterio della preferenza per il personale interno fosse considerato pienamente legittimo, si creerebbe un sistema in cui i dipendenti avrebbero maggiori possibilità di crescita solo all’interno del proprio ente, riducendo gli incentivi alla mobilità tra amministrazioni diverse. Al contrario, riconoscere pari valore all’esperienza maturata in qualsiasi amministrazione favorirebbe una maggiore circolazione delle competenze, rendendo più dinamico il mercato del lavoro pubblico.
La divergenza tra le due sentenze potrebbe trovare soluzione attraverso un intervento normativo o una pronuncia di armonizzazione da parte del Consiglio di Stato. In attesa di un eventuale chiarimento, gli enti pubblici si trovano di fronte alla necessità di bilanciare due esigenze contrastanti: da un lato, la valorizzazione dell’esperienza maturata all’interno dell’ente, che può garantire maggiore continuità e efficienza amministrativa; dall’altro, il rispetto dei principi di imparzialità e parità di trattamento, che impone di non penalizzare chi ha maturato esperienze in altre amministrazioni.
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