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15 Aprile 2022

PNRR: impatti macroeconomici da uno studio del MEF

È stato pubblicato dal MEF uno studio che valuta l’impatto macroeconomico del piano nazionale di ripresa e resilienza. Ecco i principali risultati.

PNRR: impatti macroeconomici da uno studio del MEF

La scorsa settimana è stato pubblicato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) un paper accademico che valuta gli impatti macroeconomici e distributivi del PNRR.

Giovanni di Bartolomeo e Paolo D’Imperio, i due professori autori dello studio, hanno basato le loro analisi sulle informazioni pubblicate dal Governo italiano in merito al PNRR, a partire da aprile 2021.

Lo studio utilizza un metodo proprio della macroeconomia, il modello dinamico stocastico di equilibrio generale (DSGE), spesso utilizzato dalle autorità monetarie e fiscali al fine di descrivere l’andamento dei principali aggregati macroeconomici come risultato di scelte ottimizzanti di famiglie e imprese, che dipendono – come emerge chiaramente dai risultati del paper in oggetto – anche dalle loro aspettative sul futuro.

 

Il PNRR indubbiamente contribuisce alla crescita futura dell’economia italiana, questo è confermato dallo studio. Il risultato forse più importante mostra come il PIL crescerà in maniera costante nel periodo 2021 – 2026 ed infine raggiungerà nel 2026 un aumento del +3,4% rispetto ad uno scenario alternativo senza il Piano. Nel breve termine, infatti, il PNRR stimola la domanda aggregata e, di conseguenza, aumentano sia la domanda di lavoro che di capitale. Considerando un orizzonte temporale maggiore, il Piano aumenta anche la produttività, specialmente attraverso la costruzione e il sostegno di capitale pubblico.

L’impatto positivo sul PIL nel breve termine sarà quindi guidato dal forte aumento degli investimenti complessivi, ma sarà allo stesso tempo smorzato da un rallentamento di consumi ed esportazioni.

Le conseguenze negative sui consumi privati potrebbero sembrare controintuitive, ma possono essere semplicemente spiegate dalle logiche macroeconomiche: il massiccio aumento degli investimenti pubblici, infatti, aumenta il ritorno previsto sugli investimenti (ROI), pertanto le famiglie tendono a ridurre i propri consumi oggi per risparmiare e investire, riservandosi così maggiori consumi domani. Questa riduzione dei consumi, ricorda il paper, potrebbe essere almeno parzialmente evitata se l’Autorità monetaria assumesse una politica più espansiva (i.e., in altre parole, se Banca Centrale scegliesse di aumentare la quantità o offerta di moneta sul mercato).

La dinamica negativa sulle esportazioni, invece, è principalmente dovuta alla pressione dell’inflazione sui prezzi di mercato della merce esportata. Il PNRR, infatti, aumenta la domanda di beni di investimento (i.e., beni utilizzati per la produzione di altri beni, destinati ad essere impiegati per più di un anno) con effetti positivi sui costi sostenuti dalle imprese. Il miglioramento delle condizioni di scambio ha effetti negativi sulla dinamica delle esportazioni nei primi periodi, dove prevalgono gli effetti dal lato della domanda. Nel medio termine, invece, l’accumularsi di capitale pubblico – fattore di produzione – migliora la capacità di offerta dell’economia, esercitando così una pressione negativa sui costi delle imprese e sui prezzi delle esportazioni.

Nel 2026 si prevedono esportazioni superiori del +2,3% rispetto ad uno scenario di riferimento senza Piano.

Per quanto riguarda, invece, gli effetti distributivi sul reddito famigliare, la crescita innescata dal PNRR potrebbe nascondere alcune dinamiche eterogenee e possibilmente avverse tra le diverse componenti del reddito. Nel modello utilizzato nel report, si considera il reddito famigliare come NDI – National Disposable Income (composto da: reddito da lavoro, plusvalenze, profitti, guadagni finanziari, sussidi di disoccupazione e aiuti statali). Diversamente da quanto si potrebbe pensare l’impatto del Piano è sfavorevole sui profitti nei primi anni della sua applicazione. I profitti, infatti, diminuiscono a causa dell’aumento della domanda di lavoro e di capitale.

Emerge un trade-off tra salario, capitale e obbligazioni che aumentano contrariamente ai profitti.

Nel medio termine, invece, questo compromesso scompare poiché l’aumento dello stimolo fiscale consente un aumento generalizzato del reddito. Quando il PIL aumenta, i profitti si muovono al di sopra del loro livello iniziale.

Nel complesso, è evidente infatti come la selezione e la progettazione dei programmi di investimenti pubblici rappresentino una condizione cruciale per il successo del Piano.

Diventa quindi necessario considerare i diversi fattori funzionali che influenzano l’efficacia degli investimenti pubblici: tra tutti, il rapporto positivo tra l’efficienza delle Pubbliche Amministrazioni e lo stock e relativa qualità del capitale pubblico a disposizione della stessa.

 

Tempistiche, efficacia e sostenibilità degli investimenti promossi del Piano dipendono sostanzialmente dal regime normativo in essere e dalla sua corretta attuazione.

L’efficacia richiede anche l’esistenza di un forte coordinamento tra i diversi livelli di governo, dato che in Italia gli investimenti effettuati da autorità locali rappresentano ben oltre la metà del totale di spesa.

In conclusione, quindi creare le condizioni di successo del vasto piano di investimenti che è il PNRR è una delle sfide chiave che il nostro paese dovrà affrontare ed è in quest’ambito che le riforme strutturali proviste svolgerebbero un ruolo cruciale.

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