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08 Luglio 2022

Natura e “situazioni tipo” delle interdittive antimafia

Natura e “situazioni tipo” delle interdittive antimafia

Una società impugnava l’interdittiva antimafia della Prefettura che aveva poi portato alla risoluzione dal contratto di appalto di lavori del quale la ricorrente era affidataria.

La ricorrente lamentava un’erronea valutazione degli elementi circa la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa.

In primo grado il TAR respingeva il ricorso ritenendo l’interdittiva antimafia idonea a scongiurare il pericolo di condizionamento mafioso alla luce della regola del “più probabile che non”. La ricorrente decideva di appellare per la riforma della sentenza di primo grado.

Il Consiglio di Stato, Sezione III, con sentenza n. 4616/2022, nel respingere l’appello ha ricostruito la natura dell’interdittiva antimafia, affermando che:

  • “la misura interdittiva, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale [..] non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa sussistere il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata”;
  • “il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere ad un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.”

La giurisprudenza amministrativa ha, infatti, progressivamente definito un nucleo oramai consolidato di situazioni-tipo, sintomatiche ed indiziarie della ricorrenza del pericolo di infiltrazione mafiosa, e in grado di sviluppare e completare il dettato legislativo, il riferimento è, tra l’altro, a:

  • sentenze del giudice penale, anche di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa;
  • la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso d.lgs. n. 159 del 2011;
  • i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”;
  • i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità ” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa;
  • la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”; l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.

Nel caso di specie, in particolare era emerso che l’ATI aggiudicataria ossia l’appellante avesse partecipato alla gara in Associazione Temporanea di Impresa con una società oggettivamente collegata con il clan presente sul territorio nonché che avesse sottoscritto un successivo contratto di subappalto con un’altra società riconducibile alla locale criminalità organizzata.

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