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18 Novembre 2022
Modificare i progetti non realizzabili nel PNRR
La prima cabina di regia PNRR del nuovo esecutivo ha stabilito di richiedere alla commissione europea l’approvazione per la modifica degli interventi che risultano attualmente irrealizzabili, per via dei costi o dei tempi eccessivi.
Quest’approccio è in linea con quanto previsto dalla normativa europea vigente?
In seguito alla prima Cabina di Regia PNRR del nuovo esecutivo, tenutasi lo scorso mercoledì 9 novembre – nella stessa data in cui è avvenuto il recepimento della seconda tranche di risorse comunitarie, pari a 21 miliardi di euro complessivi tra sovvenzioni e prestiti – il Governo ha ufficialmente dichiarato la volontà di modificare, almeno parzialmente, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In particolare, la strategia di revisione prevede l’eliminazione di quegli interventi che attualmente risultano irrealizzabili a causa degli eccessivi costi o dei forti ritardi nella loro realizzazione, al fine di liberare risorse utili per investimenti nel settore energetico, considerato oggi il comparto di maggiore priorità. Per attuare questa strategia, sarà necessario ricevere il via libera da parte della Commissione Europea, insieme alla quale si dovrà verificare la reale fattibilità dei singoli interventi e decidere quali progetti confermare, quali sostituire e quali eliminare in toto dal Piano.
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Ma che cosa dice la normativa europea in merito?
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L’Unione Europea con l’art. 21 del Regolamento UE 241/2021 prevede la facoltà per gli Stati Membri di apportare delle modifiche ai rispettivi Recovery Plan in qualsiasi fase di attuazione dell’agenda, modifiche che possono addirittura portare alla completa sostituzione del Piano. Nello stesso articolo, tuttavia, viene specificato che tali modifiche devono essere giustificate da circostanze oggettive, che realmente impediscono il raggiungimento dei traguardi inizialmente previsti. A questo punto, sarà la Commissione – come già ribadito – a valutare tali giustificazioni e, in generale, tutte le modifiche apportate ai Piani entro massimo due mesi dalla ricezione della richiesta da parte dello Stato Membro. In particolare, la Commissione dovrà basare la sua valutazione su 11 criteri, gli stessi già considerati nella fase di prima approvazione dei Piani, descritti negli artt. 18 e 19 del sopracitato Regolamento. Tra questi, si ricordano la necessità dei Piani di contribuire alla creazione di nuovi posti di lavoro, il vincolo del 20% di risorse da destinare alla digitalizzazione e il 37% alla transizione verde, nonché il vincolo del “non arrecare un danno significativo all’ambiente” (il c.d. principio DNSH).
Conclusa la fase di valutazione delle modifiche, la Commissione esprimerà un voto a riguardo a maggioranza semplice – laddove non sia possibile un voto all’unanimità, che rimane in ogni caso il metodo preferibile. In caso di parere positivo, spetterà poi al Consiglio Europeo – l’organo esecutivo dell’Unione, formato dai 27 Capi di Stato o di Governo degli Stati Membri – l’approvazione definitiva dei Piani a maggioranza qualificata entro 4 settimane. Nel caso invece la Commissione esprima un parere negativo in merito alle modifiche da apportare ai Piani, la richiesta viene respinta e lo Stato Membro avrà un mese di tempo per presentare osservazioni in merito.
In sostanza, pertanto, modificare i Recovery Plan nazionali è possibile ma non senza criticità, date le restrizioni poste dall’Unione Europea sul raggio d’azione possibile di tali revisioni. Inoltre, bisogna considerare anche il fatto che processi di cambiamento radicale delle agende in corso comporterebbero inevitabilmente ritardi e rallentamenti nell’attuazione, con il conseguente rischio di perdere i fondi.
Infatti, il rilascio delle tranches di risorse è, come noto, vincolato rispetto al cronoprogramma di attuazione degli interventi fino al 2026. Semestralmente la Commissione verifica il rispetto degli obiettivi previsti e solo se l’esito di questa valutazione è positivo vengono accreditate le risorse spettanti. È quindi semplice comprendere come, più sono sostanziali e ad ampio raggio le modifiche proposte, più tempo sarà necessario alla Commissione per validare la nuova agenda e più tempo servirà al Paese per riprenderne l’attuazione e quindi ricevere nuove tranche di risorse.
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