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28 Luglio 2023

Il principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore e le indicazioni sull’uso del CCNL diverso da quello indicato dalla Stazione Appaltante

Il principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore e le indicazioni sull’uso del CCNL diverso da quello indicato dalla Stazione Appaltante

L’art. 11 del Codice  attua la previsione di cui all’art. 1, comma 2, lettera h), n. 2, della Legge Delega :«garantire l’applicazione dei contratti collettivi nazionale e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all’oggetto dell’appalto e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare».

L’obiettivo è conseguire un’applicazione più puntuale con norme maggiormente pregnanti e vincolanti.

L’art. 30 comma 4 D. Lgs. n. 50/2016 disponeva: «al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente».

Proprio tale articolo ha cambiato il punto di riferimento per la scelta del CCNL applicabile: non più l’attività prevalente esercitata dall’impresa (come si è sempre sostenuto sulla base dell’art. 2070 del cod. civ.), ma le prestazioni oggetto dell’appalto da eseguire. 

Il CCNL andava scelto tra quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (i c.d. contratti leader). Rimaneva, tuttavia, aperta la questione della possibile sovrapposizione di più contratti collettivi conformi, con ambiti di applicazione compatibili con l’attività oggetto dell’appalto.

A tal proposito, l’art. 11 commi 1 e 2 del nuovo Codice restringe le ipotesi in cui, tenuto conto della pluralità di contratti collettivi vigenti in un medesimo settore, l’operatore economico possa scegliere un CCNL che non garantisce al lavoratore le migliori tutele sotto il profilo normativo ed economico. 

In virtù della tutela della libertà di iniziativa economica, inoltre, il comma 3 consente agli operatori economici di indicare nella propria offerta il differente contratto applicato, a patto che vengano garantite le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente.

Il comma 4, invece, impone la presentazione, prima dell’aggiudicazione o dell’affidamento, di un’ulteriore dichiarazione con la quale l’operatore si impegna ad applicare il contratto collettivo, indicato in sede di offerta, per tutta la durata del contratto ovvero di una dichiarazione di equivalenza delle tutele.

Il comma 5 stabilisce che le medesime tutele normative ed economiche siano assicurate anche ai lavoratori in subappalto. 

In linea con il vecchio articolo 30 del d.lgs. n. 50 del 2016, l’art. 11 comma 6 disciplina l’intervento sostitutivo della stazione appaltante nel caso di inadempienze contributive o retributive dell’impresa affidataria o del subappaltatore.

Sicuramente la prescrizione più importante imposta dal nuovo Codice è quella relativa alla necessità che gli operatori economici, nel caso in cui indichino un CCNL diverso da quello scelto dalla Stazione Appaltante, devono garantire le medesime tutele economiche e normative di quello di cui agli atti di gara.

L’ANAC, nella relazione illustrativa a bando tipo, ha messo in evidenza che difficilmente le norme di CCNL differenti collimano; conseguentemente, l’equivalenza deve essere valutata sulla scorta di un giudizio di equiparazione delle tutele economiche e normative presenti. Secondo l’Autorità tra due contratti possono esserci scostamenti, tuttavia limitati a soli due parametri.

Dalla lettura della relazione si evince che la valutazione di equiparazione delle tutele economiche deve essere svolta partendo dalle componenti fisse della retribuzione globale annua:

  1. retribuzione tabellare;
  2. indennità di contingenza;
  3. Elemento Distinto della Retribuzione (EDR) cui sommare le eventuali mensilità aggiuntive e le altre indennità.

I parametri normativi considerati invece sono:

    1. lavoro supplementare e clausole elastiche nel part- time;
    2. lavoro straordinario, con particolare riferimento ai limiti massimi;
    3. ex festività soppresse;
    4. durata del periodo di prova;
    5. durata del periodo di preavviso;
    6. durata del periodo di comporto in caso di malattia e infortunio;
    7. malattia e infortunio, con riguardo al riconoscimento di un’eventuale integrazione delle relative indennità;
    8. maternità;
    9. monte ore permessi retribuiti;
    10. bilateralità:
    11. previdenza integrativa;
    12. sanità integrativa.

 

Ciò posto, probabilmente la falla di un sistema siffatto è da rinvenire nella mancata indicazione, nell’art. 11 del nuovo Codice o da parte dell’ANAC, di un criterio discrezionale che permetta di graduare i vari parametri indicati, in base all’importanza e all’incidenza sui lavoratori; tenuto conto del loro diverso impatto. 

Tale indicazione sarebbe stata sufficiente ad agevolare il difficile lavoro di raffronto tra CCNL diversi e anche divergenti.

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