• I limiti del Principio di Conservazione dell’equilibrio contrattuale ex art. 9 D. Lgs. 36/2023 alla luce della sentenza del Consiglio di Stato n. 5989 del 19/06/2023

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30 Giugno 2023

I limiti del Principio di Conservazione dell’equilibrio contrattuale ex art. 9 D. Lgs. 36/2023 alla luce della sentenza del Consiglio di Stato n. 5989 del 19/06/2023

I limiti del Principio di Conservazione dell’equilibrio contrattuale ex art. 9 D. Lgs. 36/2023 alla luce della sentenza del Consiglio di Stato n. 5989 del 19/06/2023

Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5989 del 19.06.2023, ha dato una prima interpretazione del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale e della rinegoziazione, disciplinati dall’art. 9 del D. Lgs. n. 36/2023 che entra in vigore proprio da oggi.

A tal proposito, occorre dapprima soffermarsi sull’analisi di tale articolo.

Precisamente, il legislatore, con l’art. 9, ha voluto codificare una disciplina generale utile per la gestione delle sopravvenienze straordinarie e imprevedibili che alterano l’equilibrio contrattuale: gli effetti di queste sono evidenti se si considera l’attuale congiuntura economica determinata dalla pandemia e dal conflitto in Ucraina, che ha comportato un improvviso aumento del costo delle materie prime e dell’energia. 

La norma in oggetto, dunque, regola il fenomeno definito “Hardship” nella prassi internazionale e identificabile come “Eccessiva onerosità sopravvenuta” nel diritto interno, disciplinata all’art. 1467 del codice civile.

Tanto premesso, è già possibile evidenziare un discrimine tra l’art. 1467 c.c. e l’art 9 d.lgs. 36/2023: il primo descrive una tutela demolitoria, tant’è che la norma parla di risoluzione del contratto; mentre il secondo dispone una tutela manutentiva, conforme all’interesse dei contraenti e dell’amministrazione, anche in virtù dell’interesse pubblico alla base della contrattazione.

Il comma 1 del suindicato art. 9 descrive le sopravvenienze che determinano la rinegoziazione della parte svantaggiata, come gli eventi straordinari e imprevedibili, legati a rischi che non devono essere stati volontariamente voluti dalla parte pregiudicata dai medesimi, tali da determinare un’alterazione rilevante dell’originario equilibrio del contratto e non riconducibili alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio del mercato.

Nel richiedere la rinegoziazione, la parte svantaggiata deve conformarsi al principio di buona fede. È evidente, inoltre, che la rinegoziazione non deve alterare il finanziamento complessivo dell’opera ma deve essere in linea con le risorse disponibili nel relativo quadro economico. 

Ciò detto, è lecito chiedersi se sia possibile ricorrere alle economie derivanti dal “ribasso d’asta”.  Queste ultime, tuttavia, non si possono considerare acquisite fino al collaudo o al certificato di regolare esecuzione; altrimenti, il rischio di sopravvenienze comporterebbe la mancata esecuzione del contratto e la perdita di fondi già spesi. 

Il comma 2 dell’art. 9, invece, si occupa della finalità sottesa alla rinegoziazione, e cioè il ripristino dell’equilibrio contrattuale, senza eludere le regole della procedura ad evidenza pubblica. A tal proposito, il comma 4 incentiva la gestione delle sopravvenienze in maniera puntuale prevedendo che:” Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti favoriscono l’inserimento nel contratto di clausole di rinegoziazione, dandone pubblicità nel bando o nell’avviso di indizione della gara, specie quando il contratto risulta particolarmente esposto per la sua durata, per il contesto economico di riferimento o per altre circostanze, al rischio delle interferenze da sopravvenienze”.

Il Consiglio di Stato, con la suindicata sentenza, ha individuato i limiti di azione di questo articolo, precisando che il combinato disposto del comma 2 art. 9 e  i commi 5 e 6 dell’art 120 mettano in evidenzia come sia corretto “salvare” il contratto con la rinegoziazione, a patto che non ci sia un’alterazione economica dello stesso e che le modifiche da apportare non siano sostanziali: le modifiche, infatti, non devono incidere sulla struttura dell’operazione economica  alla base dell’affidamento.

A tal proposito, i giudici di Palazzo Spada affermano:” […] sempre nella prospettiva della tutela della parità dei potenziali concorrenti, occorrerebbe ritenere praticabili quelle modifiche che siano state in qualche modo “preventivate” nel bando “.

Infine, nella sentenza in esame, si sottolinea come il principale riferimento normativo in materia sia il parere espresso dalla commissione speciale del Consiglio di Stato n.1084/00 del 12 ottobre 2001, in cui si affermò che: “la rinegoziazione successiva all’aggiudicazione poteva alterare la par condicio dei concorrenti; tenuto conto che “ il divieto di rinegoziare le offerte deve razionalmente intendersi in linea di principio […] anche successivamente all’aggiudicazione, in quanto la possibilità di rinegoziazione tra stazione appaltante e  l’aggiudicatario, modificando la base d’asta, finirebbe (seppur indirettamente) con l’introdurre oggettivi elementi di distorsione della concorrenza, violando in tal modo i principi comunitari in materia”.

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