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17 Maggio 2024

Conflitti armati e impatti ambientali

Conflitti armati e impatti ambientali

Nel momento storico che stiamo vivendo, oltre ai drammatici effetti sociali, le guerre determinano una evidente serie di conseguenze negative sull’ambiente, la cui compensazione e mitigazione rischia di ripercuotersi per decenni sui territori negativamente coinvolti nei conflitti.

Da una lettura del sito www.guerrenelmondo.it, oltre ai conflitti che vengono diffusi sui quotidiani occidentali (principalmente Ucraina e Gaza), si registrano in questo periodo i seguenti scontri:

  • Africa: 31 Stati e 295 conflitti, tra milizie-guerrigliere, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti;
  • Asia: 16 Stati e 202 conflitti tra milizie-guerriglieri, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti;
  • Europa: 9 Stati e 91 conflitti tra milizie-guerriglieri, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti;
  • Medio Oriente: 7 Stati e 267 conflitti tra milizie-guerriglieri, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti;
  • Americhe: 7 Stati e 39 conflitti tra cartelli della droga, milizie-guerrigliere, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti;

Le principali conseguenze delle guerre sull’ambiente, oltre alle emissioni di gas ad effetto serra che contribuiscono al fenomeno dei Cambiamenti climatici, sono:

  • La distruzione diretta degli habitat naturali a causa delle esplosioni, dell’uso di armi chimiche o della deforestazione causata dal movimento di truppe e veicoli militari;
  • L’inquinamento del suolo e delle acque dovuto alle contaminazioni delle attività militari con sostanze tossiche, come petrolio, metalli pesanti e agenti chimici;
  • La perdita di biodiversità per via di estinzione di specie animali e vegetali a causa della distruzione dell’habitat e dell’inquinamento.
  • L’aumento dei cosiddetti “rifugiati ambientali”, a causa della perdita di terra fertile, dell’inquinamento delle risorse idriche e dell’incapacità di sostenere la vita a causa della distruzione ambientale.
  • L’impatto economico a lungo termine: La ricostruzione post-bellica (infrastrutture, trasporti, edilizia ecc) richiede risorse finanziarie significative che potrebbero altrimenti essere impiegate per la protezione dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile.

In particolare, osservando il conflitto in Ucraina, si osserva che a distanza di un anno dall’inizio degli scontro (febbraio 2022-febbraio 2023)è andato danneggiato il 20% delle aree naturali protette del Paese, equivalente a  3 milioni di ettari di foresta, mentre altri 450 mila ettari si trovano in zone occupate o interessate dai combattimenti.” (fonte)

Secondo Greenpeace, “la ghisa mista ad acciaio è il materiale più comune per i bossoli delle munizioni e non contiene solo ferro e carbonio, ma anche zolfo e rame. Queste sostanze si infiltrano nel terreno e possono finire nelle acque sotterranee, entrando nelle catene alimentari di esseri umani e animali. L’intera regione è a rischio di catastrofe e presenta gravi pericoli per la salute della popolazione circostante.”

Per questo motivo, dal 1999, la United Nations Environmental Programme (UNEP) opera nelle aree del mondo dove l’ambiente naturale e umano è stato danneggiato come conseguenza diretta o indiretta dei conflitti e delle guerre.

Il lavoro di valutazione post-conflitto è stato avviato dall’UNEP per la prima volta nel 1999, nella regione dei Balcani, per determinare i rischi ambientali del conflitto in Kosovo, con l’obiettivo di dare priorità ai bisogni urgenti di pulizia e rimediazione.

A partire dal febbraio 2003, le attività dell’UNEP includevano, in particolare, studi preliminari e missioni sul campo nei Territori Palestinesi Occupati (TPO), in Afghanistan e in Bosnia-Erzegovina. 

Negli ultimi due decenni, l’organizzazione ha sostenuto vari paesi e territori colpiti da crisi, tra cui Afghanistan, Haiti, Iraq e Sierra Leone.

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