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13 Maggio 2022
Base d’asta non congrua e clausole immediatamente escludenti
Il Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza n. 3191 del 26/04/2022, afferma la natura immediatamente escludente delle clausole contenute negli atti di gara che prevedono un importo a base d’asta oggettivamente non congruo.
Nel caso oggetto di giudizio, la ricorrente in primo grado deduceva l’incongruità e la non remuneratività dell’importo a base d’asta, a fronte degli aumenti del costo del lavoro derivanti dal nuovo CCNL per il personale socio-sanitario, assistenziale e delle pubbliche assistenze. Per la ricorrente, la mancata considerazione da parte della stazione appaltante degli aumenta salariali, costituirebbe un oggettivo ostacolo alla partecipazione alla gara, con conseguente violazione del principio di libera concorrenza.
Il TAR Lazio, Sez. III, con sentenza n. 9779/2021, respingeva il ricorso, ritenendo che le mere valutazioni prognostiche relative all’aumento del solo costo della manodopera, non fossero sufficienti a determinare l’annullamento del bando, potendo gli operatori economici riorganizzare il servizio in modo da ridurre i costi complessivi dell’appalto.
L’impresa soccombente in primo grado propone appello dinnanzi al Consiglio di Stato che, nell’affermare il carattere escludente delle clausole contestate, ne definisce l’ambito di applicazione.
Occorre premettere che, di regola, gli operatori economici che non partecipano alla procedura di gara non sono legittimati a impugnare i relativi atti, fatta eccezione per le ipotesi in cui siano presenti una o più clausole c.d. immediatamente escludenti.
Secondo quanto già stabilito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 4/2018, sono da considerare clausole immediatamente escludenti solo quelle che con assoluta e oggettiva certezza incidono direttamente sull’interesse delle imprese a formulare offerta, in quanto precludono, per ragioni oggettive, un’utile partecipazione alla gara.
Quindi, possono definirsi immediatamente escludenti quelle clausole che prevedono una base d’asta insufficiente alla copertura dei costi o alla remunerazione del capitale impegnato per l’esecuzione della commessa e che escluda un margine di utile (anche minimo).
Inoltre, per quanto concerne l’onere probatorio, l’impresa che impugna gli atti di gara deve provare che l’impossibilità a partecipare è comune a qualsiasi impresa operante nel settore. La prova da fornire in tal caso riguarda, dunque, l’oggettiva e generalizzata impossibilità di una partecipazione remunerativa qualunque sia il modello organizzativo adottato.
Nel caso di specie l’appellante ha fornito, anche sulla base di una perizia giurata asseverata, sufficienti elementi di prova a sostegno della non congruità dell’importo a base d’asta. A tal fine, secondo i giudici di appello, occorre anche considerare il fatto che la gara oggetto di giudizio è andata deserta e quindi nessun operatore ha presentato domanda di partecipazione, evidentemente valutando non congruo l’importo a base di gara.
In conclusione, si afferma la natura immediatamente escludente delle clausole che prevedono un importo a base d’asta non congruo rispetto all’oggetto dell’appalto e da cui derivi l’obiettiva impossibilità per gli operatori economici di presentare offerte economicamente sostenibili.
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